Come cambia la guerra. Il conflitto mediatico e l’effetto doppler
La guerra è un momento drammatico e di profonda rottura della quotidianità: avere notizie dei cari dal fronte, conoscere le evoluzioni dei combattimenti, aspettare i dispersi e piangere i defunti. O per lo meno così era vissuto solitamente il conflitto dai paesi coinvolti. Dall’esterno, le dirette televisive – a partire da quelle della guerra in Iraq del 1991 – raccontavano di stralci e momenti decisivi agli interessati. E anche il coinvolgimento generato in Occidente da tante guerre sommerse è sempre stato molto relativo e lasciato il più delle volte al parere degli esperti e di studiosi. Per non parlare dell’accoglienza ai profughi, sempre più alle prese con interi schieramenti socio-politici contrapposti.
Oggi, per la prima volta, assistiamo ad una guerra mediatica, con tutto quello che questa constatazione comporta. E non solo riguardo all’utilizzo dei canali social da parte della propaganda russa, caratterizzata da fake news e distorsioni evidenti della realtà. Nemmeno per il sapiente uso che il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha saputo fare dei social, creando empatia alla sua causa e mettendo l’Occidente in condizioni di non poter rifiutare di fornirgli aiuto e sostegno.
È emblematico il caso dei social networker che si moltiplicano in rete uplodando messaggi dalle prime linee, tra riti scaramantici dei soldati, stralci di battaglie di strenua difesa, edifici distrutti da bombardamenti live, e che raccontano un conflitto drammatico, con il video sempre puntato su ciò che sta accadendo. Per non parlare delle immagini strazianti delle famiglie divise che ritraggono il papà che resta a combattere e moglie e figli in partenza per mettersi al sicuro. Frame che hanno creato il clima giusto per l’accoglienza dei profughi facendo leva sulla profonda umanità che la solidarietà richiede. E che richiederebbe sempre.
Oltre ad essere una guerra speciale in tal senso, la proliferazione generata sui social può permettere di maturare così con il dovuto distacco le ragioni e la possibile composizione del conflitto, che deve avvenire necessariamente sul piano diplomatico? E, infine, non si rischia di generare un effetto doppler, di anamnesi emotiva per cui, tra una foto di moda e un video di cucina, si interiorizza la guerra per pochi secondi rimuovendola subito dopo? La gravità dell’accaduto merita una seria riflessione.