I ragazzi Z si negano, i gen X sono in affanno
Perché la generazione Z rifiuta prestigiosi posti di lavoro che ai più vecchi della X non vengono nemmeno proposti nella fase iniziale della carriera lavorativa? La situazione è questa: i giovani della generazione Z godono di una formazione in termini di padronanza delle lingue – in particolare l’inglese – e delle competenze informatiche che li rendono molto appetibili dal punto di vista dei grandi gruppi alla costante ricerca di talenti.
Ma i giovani in questione non si fanno attrarre dalla cosiddetta soddisfazione professionale. Anzi sono piuttosto indifferenti a questo aspetto. L’unico incentivo che avvertono come impellente è quello di guadagnare molto denaro, in cui vedono la reale realizzazione. Da qui la scelta di lavorare in proprio e cercare nella rete fonti indipendenti di guadagno.
Gli omonimi della generazione X sono in affanno invece perché non possiedono in molti casi una grande dimestichezza con lo strumento tecnologico né con le lingue straniere, fatte le dovute eccezioni di chi per percorso di carriera deve aver già acquisito molte skills digitali e linguistiche.
Molta della responsabilità di questo gap tra le reali possibilità di lavoro e l’offerta disponibile sul mercato di risorse qualificate, dipende dalla totale assenza di percorsi formativi di riqualificazione remunerati dignitosamente che, invece, potrebbero dare impulso al mercato.
In mezzo c’è la generazione Millenials che si trova sospesa tra il quiet working e la volontà di conciliare – bene – impegni professionali e famiglia ricorrendo magari allo smart working e al lavoro da remoto, in modalità a volte di nomadi digitali. La scelta del nomade porta i lavoratori a spostarsi seguendo la realizzazione di progetti medio grandi che richiedono la presenza in una fase iniziale.