Il lavoro che verrà: il futuro ha due facce
In questi ultimi giorni di coda dell’inverno e della pandemia di covid, che ha messo in ginocchio molte realtà industriali fino alle estreme conseguenze, lo smart working si è affermato quasi come l’unica via per continuare a lavorare e studiare durante l’emergenza.
Nonostante la sua applicazione fosse per molti allo stadio embrionale e tanti abbiano dovuto fare i conti con la precedente poca dimestichezza con la tecnologia, la formula del lavoro da remoto ha tenuto il passo della successiva ripresa, ampiamente annunciata e solo in parte inficiata dalla guerra in Ucraina.
Il ricorso tempestivo alla tecnologia ha evidenziato tutte le lacune di un sistema lavoro datato ma ne ha esaltato anche molte potenzialità. Il dibattito, che ne è emerso, rispetto a quale debba essere la formula adottata nel prossimo orizzonte, ha visto recentemente i giornali dare voce a tanti, come i manifatturieri, che del sistema in smart working non vogliono più sentir parlare, in quanto totalmente inadeguato a sostenere i ritmi produttivi e del business.
Inevitabile è stata la levata di scudi di tanti altri operatori, come quelli del terziario e dei servizi, che invece hanno avuto modo di apprezzare il nuovo approccio al lavoro, sia in termini di qualità della vita che di resa lavorativa.
Lavoro in sede o lavoro da remoto? Gli esperti non hanno dubbi: il futuro è ibrido. Questa variante della prestazione prevede un connubio ideale tra il lavoro in presenza e lo smart working, e sembra aver preso piede in molti contesti ed in modo trasversale nell’economia italiana ed europea. Permette infatti di ottimizzare le risorse umane con quelle della sostenibilità e risponde al meglio alle esigenze di un presidio fisico e a quelle del risparmio energetico.